di Valerio Lo Monaco
Molto semplicemente, con una scelta sovrana, la Banca Centrale cinese ha dichiarato senza mezzi termini che “accumulare riserve in valute estere non raccoglie più i favori della Cina”. Tutte le valute, naturalmente, ma in modo particolare, e certamente preoccupante per gli Stati Uniti, a essere oggetto di questa decisione è il biglietto verde. Si tratta della notizia più importante, a livello macroeconomico e geopolitico, delle ultime settimane. La stampa internazionale non le ha dato grande risalto, quella interna italiana non ne ha parlato proprio: tutta presa, come è da mesi e mesi, a commentare le quisquilie interne. Ivi inclusa la grottesca battaglia attorno ai 2 miliardi di euro per abolire la seconda rata dell’Imu nello stesso momento in cui l’Italia ne spende 1600 all’anno e ne dovrà trovare ulteriori 50 nel corso del 2014 per rispettare il Fiscal Compact sottoscritto a suo tempo. Come se in una qualunque famiglia si discutesse all’infinito per trovare il denaro per andare a mangiare una pizza in quattro a fronte di tutte le altre spese del bilancio. Tornando alle cose che contano, invece, questa della Banca Centrale cinese è veramente una sorta di bomba. Le riserve, ancora al quarto trimestre del 2013, ammontavano a circa 3,66 trilioni di dollari. L’accumulo da parte della Cina di moneta statunitense avviene da anni e anni, operazione messa in piedi per tenere alto il livello del dollaro e allo stesso tempo basso quello dello yuan, onde rendere quest’ultimo estremamente competitivo per le esportazioni cinesi. Ma la musica sta cambiando. Già da un po’. E dunque, con questa decisione, si imprime una nuova accelerazione alla strategia già in atto da tempo di dismissione delle riserve in valuta statunitense. Sono già anni, ormai, che l’acquisto di titoli di Stato Usa è calato da parte della Cina. E ora calerà ulteriormente. Gli Usa dovrebbero tremare. Ancora di più rispetto a quanto già dovrebbero aver iniziato a fare da tempo. Perché se in primo luogo la politica economica cinese ha favorito le aziende interne a sfavore di tutte le altre nel resto del mondo (cosa che riguarda anche noi, beninteso) il fatto che oggi si dichiari che la Cina non trae più alcun beneficio dall’accumulo di valute estere significa una cosa sopra ogni altra: lo yuan è pronto a invadere il mondo. Ovviamente sostituendo, via via, le altre valute internazionali usate per gli scambi. Dollaro in primo luogo. Dal punto di vista prettamente statunitense, la cosa è di portata enorme. Per avere dei prestiti gli Usa dipendono fortemente da chi acquista, e dunque ne sottolinea e mantiene il valore, i titoli di Stato. Ma se questi iniziano a non essere più graditi, oltre al fatto di non riuscire più a piazzarli agli stessi interessi di prima, il problema è molto più ampio, perché gli Usa soprattutto hanno nella politica del “debito di Stato” la loro unica motivazione di reggersi ancora in piedi. Se i titoli di Stato Usa non vengono più acquistati, il dollaro, di fatto, inizia a non valere più nulla. Già ora, malgrado siano riusciti a tenere la propria moneta in vita contro tutte le logiche economiche e persino meramente aritmetiche, gli Usa non riescono a far quadrare i propri conti, vedi i fatti recenti dello Shutdown federale e del Fiscal Cliff, peraltro rimandato, quest’ultimo, a metà febbraio 2014. Cioè praticamente a dopodomani. Ma tutto si regge, da sempre, sulla “promessa” del valore della sua moneta. Ecco, se ora questa moneta non è più apprezzata tanto che il primo acquirente mondiale inizia sul serio a disdegnarla, è facile immaginare quali potranno essere i contraccolpi oltre Atlantico. E, beninteso, per tutte le altre economie legate a vario titolo alla tenuta del dollaro. Europa inclusa. Cresceranno probabilmente i tassi di interesse che gli Usa dovranno concedere per vendere i propri titoli. Il che, oltre ad aprire degli enormi ulteriori insormontabili problemi all’amministrazione statunitense, disvela anche lo scenario ulteriore che abbiamo accennato: iniziare a usare lo yuan come valuta di riserva internazionale e soprattutto come moneta di scambio per materie importanti per ora appannaggio esclusivo del dollaro. Petrolio in testa. Alla Borsa di Shanghai, secondo la Reuters, si inizierà prestissimo a quotare i diritti di acquisto (futures) sul greggio in yuan. A cosa servirà più dunque il dollaro? E a cosa “serviranno” più gli Usa? Come si terranno in piedi? Dalle sconfitte internazionali delle politiche neocons di Iraq e Afghanistan alla crisi dei subprime agli schiaffi presi giorno per giorno dalla Russia sul caso Siria e Iran sino a questo ulteriore pugno in pieno volto proveniente da Shanghai: l’Impero sta per cadere in ginocchio. Allora, molto chiaramente: la Cina è pronta per diventare il punto di riferimento per tutta l’Asia, in sostituzione degli Stati Uniti e, complice anche la decadenza costante dell’Euro, a questo punto non si vede altra moneta mondiale, e altra potenza commerciale, in grado di contrastarla. Da Oriente a Occidente. Tempi. Non brevissimi, naturalmente. Questa della dismissione di dollari è politica in atto ormai da anni, e la tappa relativa al commercio di petrolio in yuan necessita di passaggi successivi. Ma la direzione è quella. Conseguenze. Le merci acquistate dagli statunitensi, dopo la caduta del dollaro, costeranno molto di più. E il tenore di vita tenuto artificiosamente alto, o almeno a galla, dopo lo scoppio dell’ultima crisi, è destinato a crollare sensibilmente. La falsa – e cieca – prosperità degli Stati Uniti appare arrivata al termine e a presentare i conti. Ma la domanda da porsi, più importante, è quanto e come gli statunitensi reagiranno a un declino repentino del loro Paese e al crollo delle condizioni di consumo e vita. Sono lontanissimi i tempi in cui Bush dichiarava senza mezzi termini che «il tenore di vita degli americani non può essere messo in discussione». Ora in discussione lo è eccome. E si tratta di capire come si comporteranno la popolazione e lo Stato. Perché una cosa è certa: a una azione di questo calibro della Cina non potrà che esserci una reazione Usa.