Di Jolanda Bufalini
Ricerca Ocse sull’aumento delle disparità di redditto. In tutto il mondo sviluppato il gap aumenta. In Italia il reddito medio del 10% benestante è 10 volte superiore al reddito da lavoro minimo.
I precari dell’Istat che «hanno fornito gli indicatori e le misure della diseguaglianza», protagonisti e, al tempo stesso, oggetto della ricerca dell’Ocse sulle diseguaglianze, hanno salutato il ministro Elsa Fornero con uno striscione nell’Aula magna dell’Istituto di Statistica, ispirato al titolo della ricerca: «Precarious We Stand». Un inflessibile Enrico Giovannini non ha dato loro la parola ma il ministro ha assicurato: «I precari di tutta Italia sono nel cuore del governo». Viviamo in un paese dove i poveri restano poveri, i ricchi sposano i ricchi, dove le diseguaglianze sono aumentate anche negli anni in cui cresceva l’occupazione, smentendo l’idea che «i benefici della crescita economica ricadano sulle classi meno abbienti e che una maggiore diseguaglianza stimoli la mobilità sociale».
È il profilo dell’Italia che emerge dalla presentazione, fatta da Stefano Scarpetta, della ricerca comparata fra i paesi Ocse in cui si cerca risposta all’interrogativo: «Perché le diseguaglianze continuano a crescere?». Dice Scarpetta che della povertà in Italia preoccupa la sua «persistenza», che i matrimoni fra persone dello stesso ceto «contribuiscono per un terzo all’aumento delle diseguaglianze». In Italia la crescita della diseguaglianza è all’apice dagli anni Novanta ed è superiore alla media Ocse: nel 2008 il reddito medio del 10% più ricco del paese era di 49.300 euro, 10 volte di più del reddito medio del 10% più povero (4.877 euro), venti anni fa la differenza fra ricchi e lavoratori poveri era invece di sette punti. Se si allarga lo zoom e si guarda all’insieme il quadro è ancora più fosco: negli Stati Uniti i ricchi hanno 18 volte di più rispetto ai redditi minimi, in Brasile la differenza è pari a 50. Non solo, i maggiori guadagni in alcuni paesi sono raccolti dallo 0,1 per cento della popolazione: negli Usa la quota di reddito familiare netto per l’1% della popolazione più ricca è più che raddoppiata, passando dall’8% nel 1979 al 17% nel 2007. Solo alcuni paesi in via di sviluppo come la Turchia hanno ridotto il differenziale mentre anche nel Nord Europa le dif-ferenze sono aumentate, solo in Francia e Giappone sono rimaste stabili.
Passando dalla fotografia alle cause si scopre che la globalizzazione (cioè l’aumento degli scambi e degli investimenti stranieri) non sono la causa diretta del maggiore gap mentre le riforme del mercato del lavoro, come l’aumento dei contratti atipici, hanno ampliato la platea degli occupati ma anche ridotto i salari. Un fattore che ha influenzato, invece, direttamente le disparità è la rivoluzione tecnologica. Di qui una delle raccomandazioni della ricerca: investire sul capitale umano, cioè su scuola e formazione perché i lavoratori più qualificati hanno visto incrementare rapidamente i loro redditi mentre i meno qualificati sono rimasti indietro. E la sfida, per i paesi Ocse «è creare posti di lavoro qualitativamente e quantitativamente migliori». C’è un altro fattore che ha aumentato le disparità, l’esigenza di contenere la spesa di welfare: minore protezione sociale, minore capacità redistributiva delle politiche fiscali, meno previdenza, meno assistenza. Di qui la sottolineatura dell’Ocse: agire sulla qualità dei servizi gratuiti come la sanità e l’istruzione. E sulla leva fiscale, «perché le quote crescenti di reddito per le retribuzioni più elevate suggerisce che la capacità contributiva è aumentata» e con la recessione «le politiche di sostegno sono molto importanti».