Analisi del voto

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Il voto del 24/25 febbraio introduce significative novità nello scenario politico. Novità interessanti e pericolose al contempo che devono farci capire che un modo di far politica è definitivamente tramontato e certe tattiche (per la verità obsolete da anni), ormai sono addirittura suicide.
1) Dopo 20 anni ha iniziato a cedere la farsa bipolare. Per 2 decenni molti elettori hanno alternato il proprio voto fra centrodestra e centrosinistra, lamentandosi delle sempre nuove mazzate, che facevano dimenticare quelle del quinquennio precedente. Così proseguivano le stesse politiche liberiste. Oggi l’alternanza non c’è stata, e molti elettori hanno inequivocabilmente condannato i 2 “poli” come corresponsabili della stessa ricetta e della stessa situazione. Questa è senza dubbio una novità interessante, da tenere sempre in mente nelle nostre future scelte politiche.
2) Il dissenso tuttavia non si è tradotto per nulla in consenso alle forze che da sempre contrastano le politiche liberiste. E qui sta il pericolo. Il dissenso e la protesta sono state incanalate in una “mobilitazione reazionaria di massa” , fondata sul trasversalismo e l’interclassismo, che distoglie l’attenzione dai problemi veri ((banche, finanza, modo di produzione…)) e indirizza la rabbia popolare contro i “luoghi della mediazione e della rappresentanza democratica”. Così il partito-azienda di Casaleggio lancia l’attacco a partiti, sindacati, rappresentanti eletti, ed in generale alle (poche) associazioni di cittadini ancora organizzate. Il movimento 5 stelle si inventa una “democrazia fluida” tutta giocata nel mondo virtuale della rete, mentre sui luoghi di lavoro del mondo reale, si teorizza il “contratto individuale” (al posto di quello collettivo) e “sindacati aziendali” (dopo lo scioglimento degli apparati e delle strutture confederali).
3) Le forze di sinistra ((sia la sinistra “addomesticata” vendoliana, che la sinistra alternativa raggruppata nella lista Rivoluzione Civile)) scendono ai minimi termini e risultano del tutto inadeguate ad intercettare il consenso popolare. I partiti della sinistra vengono visti non come la soluzione, ma come parte del problema, anzi della “casta”. Sono abbandonati anche dalle realtà sindacali, politiche, e di movimento più radicali, che ((come gli Arditi nel ’19)) cadono preda delle sirene eversive della classe dominante ((ormai solo dominante, in quanto non ha più alcun progetto di rilancio del paese)) e contribuiscono masochisticamente a distruggere quel poco che resta del compromesso democratico, mandando tutti i politici “affanculo” ((odierna versione del “me ne frego”)).
4) Questa scomparsa della sinistra non è tuttavia uno scherzo del destino. Per due decenni infatti le forze della sinistra hanno continuato a ripetere che “un altro mondo è possibile” e che si potevano fare politiche diverse, salvo poi accodarsi nella maggior parte dei casi alle scelte dei soggetti politici più grandi e conquistare poco o niente per le fasce sociali di riferimento. Ciò ha sempre deluso le componenti più radicali, senza mai acquisire consensi più moderati. La complicità col primo governo Prodi ha dato il primo colpo serio al PRC. La reiterazione del crimine, un decennio dopo, ha prodotto il tracollo. Le successive improbabili aggregazioni che nelle intenzioni dei gruppi dirigenti della sinistra avrebbero dovuto sommare le forze di realtà assolutamente diverse, hanno completato il lavoro.
5) Tutti questi errori tattici traggono origine da un profondo errore strategico. Il nostro partito, come tutta la sinistra, ha preteso di proseguire sulla stessa via della conquista graduale di diritti e reddito (con le lotte dal basso e con la mediazione politica dall’alto), che era stata inaugurata dal “Migliore” ed aveva dato ottimi frutti negli anni ’60 e ’70. Ma quel periodo di conquiste era avvenuto durante il ciclo espansivo dell’economia keynesiana, in cui, non soltanto una parziale redistribuzione della ricchezza era compatibile con buoni margini di valorizzazione dei capitali, ma anzi, l’espansione dei consumi della popolazione, e quindi del mercato interno, era il volano della valorizzazione.Ma oggi in Occidente il contesto è diversissimo. Il margine di profitto in molti settori avanzati, è praticamente nullo, i tempi di rientro dagli investimenti sono lunghissimi, e come se non bastasse i mercati dell’auto e degli elettrodomestici (che avevano trainato l’economia del boom) sono da tempo ridotti a mercati “di ricambio”. Le politiche liberiste perseguite ininterrottamente da decenni, non sono state uno scherzo della storia, ma la risposta necessaria ((dal punto di vista dei capitalisti)) alla sovrapproduzione di capitali ed al crollo dei margini di profitto nei principali settori avanzati. La crisi dei consumi e la sovrapproduzione di merci che oggi sono sotto gli occhi di tutti, non costituiscono il “fallimento” del liberismo (come continuano a ripetere i socialdemocratici). Non sono conseguenze impreviste come nel 1929. Al contrario sono EFFETTI CALCOLATI di politiche che scientemente puntavano a rialzare il margine di profitto, abbattendo il costo del lavoro. Perchè l’unica strategia dei capitalisti ormai non era più “incrementare la torta”, ma strapparsi fette sempre maggiori della stessa torta sui mercati globali.La decrescita del mercato interno, e l’impoverimento di massa sono stati VOLUTI dalla classe dominante e dalle forze politiche che l’hanno rappresentata in questi anni. O detta in altri termini, chiunque si è trovato a governare ((senza avere un modo di produzione alternativo)) si è trovato schiacciato fra “picchiare sempre più duro sui lavoratori” e “far fuggire i capitali altrove”. Naturalmente ((affidandosi solo al capitalismo ed all’investimento privato)) hanno sempre scelto la prima opzione.Le forze comuniste e di sinistra hanno preteso di continuare a cercare alleanze con le forze capitaliste più avanzate, come se il compromesso dell’era keynesiana fosse ancora possibile, ed hanno ottenuto soltanto sconfitte o accordi oscillanti fra il “deludente” ed il “catastrofico”. E va sottolineato che nel perdurare dell’arretramento non perde credibilità chi sostiene certe scelte inevitabili; perde credibilità chi sostiene che si sarebbe potuto fare diversamente.
6) Ne consegue che soltanto un “modo di produzione” alternativo, una produzione non più basata sulla valorizzazione del capitale, può far uscire la Politica dal “vicolo cieco del liberismo e della crisi”. Non sono più pensabili compromessi o accordicchi con forze collocate nella sola logica dell’economia di mercato. In pratica niente più “governi Prodi” o generiche “sinistre” . Da una parte le forze capitaliste, dall’altra i Comunisti.
7) Nella situazione italiana attuale, col livello di consenso a cui siamo scesi, non è pensabile tornare ad incidere nell’agenda politica nazionale. Ogni ipotesi di fuga in avanti (o indietro) è velleitaria. Non ci sono formule che a breve possono farci tornare protagonisti fra le masse. Tutto quel che possiamo fare è (come durante il fascismo) tenere in piedi una struttura di quadri più o meno presente in tutta Italia, continuare a fare un minimo di presenza (con iniziative, volantinaggi….) ed attendere gli eventi che stanno maturando fuori dai confini nazionali.

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