di Stefano Galieni
Sono partiti intorno alle 14 e 30 con camion, musica e striscioni, con cartelli e pupazzi raffiguranti Monti, la Fornero, i volti invisibili dei grandi potentati economici. Gli slogan erano per la difesa dell’art 18, contro la precarietà e il modello liberista di fuoriuscita dalla crisi. Sindacalismo di base, le mille vertenze che si muovono spesso frammentarie nel Paese, dalla Wagon Lits all’Alitalia,
dalla Thyssen ai lavoratori sardi dell’Alcoa, agli occupanti di case, i precari della scuola e della ricerca, gli attivisti dei centri sociali. Forte la presenza sin dalla testa del corteo, del movimento No Tav. Fra le forze politiche presenti il Prc, il Pcl, Sinistra Critica e altre forze minori. Si è trattato della prima di una serie di manifestazioni che si pongono come obiettivo quello di mandare a casa questo governo, di costruire un movimento di massa per aggregare le mille ragioni e i mille volti di chi non regge di fronte a questa crisi che non ha ancora raggiunto il suo momento peggiore. «Non è che l’inizio». Ha ricordato Giorgio Cremaschi nel suo intervento conclusivo, mentre Paolo Ferrero ha riproposto il problema di mettere la mordacchia al capitale finanziario, di porre a tema la patrimoniale, il taglio delle spese militari e delle inutili grandi opere e la realizzazione di una banca pubblica. Rivolto al Pd, il segretario del Prc ha parlato di schizofrenia:«Non si può criticare le scelte del governo e poi sostenerlo in Parlamento». Ha affermato. Un corteo determinato e creativo, capace di vincere con l’arma dell’ironia, come quando un piccolo gruppo di manifestanti si è staccato per murare l’ingresso della filiale di una banca, pronto a reagire e a non cadere alle provocazioni che sarebbero state manna dal cielo per una certa stampa. Un corteo dalla composizione vasta: giovani e uomini e donne mature, anziani pensionati e famiglie con bambini al seguito, politicizzato come comincia ad essere una parte dell’opposizione. Fra i tanti striscioni uno da ricordare: il volto inconfondibile di Karl Marx e la scritta “Questo è il nostro modello tedesco”, firmato da movimenti napoletani.